Giovanni Francia. Nemo propheta in patria
Lo sfortunato destino della prima centrale solare del mondo

Ci sono storie recenti la cui straordinaria importanza è pari solo alla gravità del silenzio che le circonda, quasi che le si volesse imprigionare per sempre in un limbo che è contemporaneamente “non più cronaca” e “non ancora Storia”. Una di queste è la vicenda umana e professionale di Giovanni Francia (1911-1980), figura tanto attiva e riconoscibile nel panorama accademico genovese quanto rimossa e quasi negata dall’Ateneo dopo la sua morte. Originario di Torino, dove si laureò in matematica, dal 1938 Francia fu operativo alla Facoltà di Ingegneria di Genova, prima come assistente, poi come docente. Accademico attento alle questioni pratiche, nel corso degli anni egli registrò numerosi brevetti, alcuni dei quali particolarmente redditizi poiché riguardanti i sistemi di frenatura degli autoveicoli (Francia può essere considerato, con buona approssimazione, il “padre” dell’ABS).
Il benessere economico così ottenuto gli permise di dedicare tempo, risorse ed energie a quella che, progressivamente, si sarebbe rivelata un’autentica, magnifica ossessione: la ricerca di una tecnologia per ottenere energia termoelettrica dal sole. Le considerazioni di base di Francia, datate ormai più di cinquant’anni, rimangono di un’attualità disarmante e si possono così riassumere: l’energia solare, gratuita e globalmente diffusa, non può non essere impiegata per la produzione di elettricità; la tecnologia da utilizzare deve essere semplice, dimodochè l’intero processo produttivo risulti economicamente competitivo.
L’energia solare, presente in natura a temperature troppo basse per essere impiegata così com’è in un impianto termoelettrico, va concentrata: gli studi di Francia si focalizzarono su come e dove concentrarla. Per il come, egli, memore sia delle esperienze di Archimede sia degli studi del fisico Augustin-Jean Fresnel sulla frazionabilità di una lente sferica in una serie di sezioni anulari concentriche, scelse il sistema dei campi di specchi orientati; si badi, specchi piatti e non paraboloidi, molto più ingombranti ed enormemente più costosi. Tali specchi infine erano distribuiti su file, per cui con un solo cinematismo si poteva aggiornare l’orientamento di più elementi. Per il dove concentrare la radiazione solare convogliata dagli specchi, Francia studiò due possibilità: dapprima elaborò un modello a concentrazione lineare (un tubolare orizzontale lungo tanto quanto l’ampiezza del campo specchi) in collaborazione col francese Marcel Perrot; tale modello, preparato a Genova nel 1963, venne assemblato Marsiglia l’anno successivo.
Testo integrale sul Wall Street International