Il sonno di Manoel

A Malta, prospettive di sviluppo per un’area dimenticata

Basamento-di-grattacielo-con-imbarcadero-e-idroscalo

Trenta ettari pressoché pianeggianti, in buona parte coperti di vegetazione.
Ovunque rovine di varie epoche, ai lati due baie costellate di imbarcazioni, davanti il mare aperto.
Un solo accesso da terra, strettamente riservato agli addetti ai lavori.
Di giorno il silenzio, di notte l’oscurità.

Questa scarna descrizione non omaggia chissà quale luogo lontano da tutto e da tutti, ma ritrae la calma dell’occhio del ciclone. L’occhio è Manoel Island, il ciclone è Malta, un mosaico dalle tessere così diverse, eppure così coese: a sud-est, la sagoma arabeggiante e cattolicissima di Valletta, rocciosa corazzata pronta a salpare; a sud, l’atmosfera sospesa fra classico e moderno di Ta’ Xbiex e della sua quieta distesa di villini; più arretrati, il ripido saliscendi dei vicoli di Pietà e i marziali, severi insediamenti vittoriani di Floriana; a ovest, la piacevole vitalità di Gzira e delle sue attività commerciali e turistiche; a nord, infine, Sliema e la sua caotica, già vista, già vecchia, ripetizione del miraggio del boom edilizio, a stento contenuta dai bastioni di Fort Tigné.
Ovunque fanno capolino dalle facciate le gallarijas, lignee verande pensili dai vivacissimi colori, una costante dell’edilizia tradizionale maltese.

Ovunque c’è un po’ di Italia: tanto nelle chiacchiere maltesi, punteggiate di “grazzi”, “forza!”, “appuntu”, “ciau” malgrado la de-italianizzazione perpetrata dagli Inglesi fra le due Guerre, quanto sulle insegne delle attività commerciali, specialmente di bar e ristoranti, grazie ai numerosi collegamenti navali e aerei, nonché a un regime fiscale imparagonabilmente più sensato di quello patrio.

Testo integrale sul Wall Street International

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