Le navi fantasma di Luigi Carlo Daneri

La memoria di un luogo aldilà di apparenze internazionaliste

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L’Architettura è il contenitore principale della Memoria. Possiamo vivere senza di lei ma non possiamo ricordare senza di lei.
(John Ruskin)

Nella vita di una persona hanno una parte non indifferente le “giornate no”, quelle in cui tutto ciò che può fallire lo fa e se qualcosa è minimamente salvabile, neanche lo si nota, perché comunque non è giornata. Più avanti nel tempo però non è affatto escluso che quelle stesse giornate vengano ricordate come fasi imprescindibili, rivissute come pause feconde e ringraziate come necessarie cesure. È un processo di rielaborazione lungo, tortuoso e tutt’altro che scontato.

Anche la vita di una città ha le sue giornate no, da intendersi come fasi della sua crescita che, per motivi disparati, provocano nella popolazione un moto di rifiuto, perlopiù di carattere estetico. Succede anche a Genova, campionario di svariate epoche architettoniche segnato ancor oggi da un rapporto conflittuale col Moderno, al quale si continua a preferire la rendita culturale e turistica derivante da epoche già abbondantemente storicizzate.

Uno dei maggiori teatri di scontro fra Genova e il Novecento è un luogo che, sulla carta, dovrebbe celebrarne il felice connubio: una delle piazze più grandi, l’unica affacciata sul mare aperto, soleggiata, porticata e arricchita da un ampio giardino centrale. Si tratta di Piazza Rossetti, comunemente evitata dai Genovesi perché “smorta”, “squallida”, “brutta”, “circondata da palazzacci anni Sessanta”. Partiamo allora da quest’ultimo commento, sintomatico di una diffusa scarsa consapevolezza in materia: quei “palazzacci” vanno retrodatati di trent’anni, essendo uno dei più massicci e, forse, interessanti interventi razionalisti in Italia: già questo dettaglio è spesso sufficiente a smorzare la foga censoria dell’uomo della strada.

Testo integrale sul Wall Street International

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